Parlano di noi

 

Luce, Colore

di Emanuele Filini

  

CARLO DOTTI, luce, colore e tanto amore. Dal Rinascimento in poi, la ricerca della luce è stato uno dei problemi principali da risolvere in Pittura. A volte l’esasperazione di questa ricerca ha raggiunto dimensioni rivoluzionarie, prima nel ‘600, con Caravaggio in Italia, poi ai primi dell’800, con Constable e Turner in Gran Bretagna, in seguito, dopo il 1850,  coi Macchiaioli in Italia e con l’Impressionismo in Francia.

I macchiaioli vollero ottenere gli effetti del vero senza il minuzioso disegno descrittivo, ma solo con macchie di colore, cioè con macchie di luce in diverse tonalità e angoli di incidenza, partendo dalla constatazione che generalmente i 'bozzetti' erano più freschi, pittorici e vivi delle opere finite accademicamente.

Gli Impressionisti partirono dal concetto che ciò che l’occhio percepisce è l’impressione visiva di un insieme di colori, ma questa  percezione varia al variare delle condizioni di luce, ciò che avviene durante le sedute “en plein air”.

In conseguenza, per mantenere la luminosità del quadro, eliminando i toni grigi, l’artista è libero di concedere al colore la massima autonomia, onde ottenere quadri  più luminosi.

In seguito, partendo dal concetto fisico che la luce è scomponibile in colori primari, i neoimpressionisti (puntinisti francesi e divisionisti italiani) , basarono la loro ricerca sulla scomposizione delle tonalità cromatiche in colori puri.

Gli effetti di questa rivoluzione che ha radicalmente cambiato il modo di dipingere, in particolare il paesaggio, sono attuali anche ora e Carlo Dotti ne è convinto seguace.

Dotti è consapevole che descrivendo la realtà visibile secondo questo modo di procedere, ottiene un risultato più pittorico  della lineare rappresentazione del vero, riesce ad ottenere l’atmosfera di un determinato posto in un determinato momento, poiché le varianti emozionali  determinano attraverso il sentimento, il risultato finale.

La pittura di paesaggio di Carlo Dotti possiede tutte le caratteristiche del la “plein air”, infatti il risultato finale dà l’idea di essere basato principalmente sulle facoltà percettive dell’occhio, lasciando che la suggestione di un attimo si scarichi direttamente sulla tela. Un attimo che viene catturato da piccole e veloci pennellate di colore, quindi di luce, che ottengono pure l’effetto della vibrazione atmosferica.

Scandiano  e la neve” è il titolo tematico della mostra.

Scandiano è una piccola città ricca di storia, con un impianto urbanistico tradizionale e affascinante. Siamo ormai abituati a vivere i suoi scorci inconsciamente, e ogni volta ci procurano quel sottile piacere tipico delle cose che si amano. L’abitudine però affievolisce generalmente i sentimenti, ma è sufficiente un fatto inusuale per rinfocolare l’antico amore. Una semplice nevicata è ciò che ci mostra un paesaggio famigliare sotto una luce del tutto rinnovata, e alimenta il desiderio di fissarlo nella memoria, possibilmente carico dei sentimenti che ci procura.

Rendere pittoricamente una nevicata non è certamente una delle operazioni più facili. E’ vero che la neve è bianca, ma proprio qui sta la difficoltà maggiore. Il bianco è un “non colore” anche se è ottenuto componendo tutti i colori dell’iride. Allora si deve agire sui diversi valori delle tonalità di quei colori che vi si riflettono : l’azzurro del cielo nelle giornate limpide, il grigio delle giornate nuvolose, l’arancione dato dai fanali sul far della sera e così via. Ed è proprio in questa operazione che Carlo Dotti ha dato prova di una maestria  di tutto rispetto. Infatti dipingendo le variazioni di tonalità del bianco, Carlo Dotti non ha potuto usare colori puri e complementari giustapposti secondo i dettami impressionisti, ma ha dovuto alleggerire o appesantire la scala cromatica dei riflessi del bianco, secondo i chiari e gli scuri lasciando che il bianco della neve apparisse sempre tale anche se in realtà leggermente colorato dal tono riflesso.

In caso di nevicata, l’equazione luce-colore diventa sicuramente più complessa, ma senza dubbio più affascinante. E’ uno dei tradizionali banchi di prova in cui un pittore può dimostrare di essere tale.

 

27-2-2008

 

Luce, Colore e tanto amore

 

 

 
   

 

Nel ventre di Scandiano  

di Alfredo Gianolio

 

In un tempo in cui prevale, in arte e in letteratura, la tendenza a rappresentare stati di angoscia, situazioni ambigue ed indefinite dalle più disparate possibilità interpretative, Carlo Dotti ha scelto con decisione la strada solare dell'identificazione netta della realtà da rappresentare.

Non può dirsi nemmeno che sia un isolato e un solitario in questa opzione. Anche gl'iperealisti perseguono lo scopo di recuperare una realtà che abbia valore assoluto, facendo coincidere l'immagine rappresentata con l'oggetto.

Per ottenere risultati appaganti Dotti ha riesumato una vecchia tecnica assai diffusa nella seconda metà dell'Ottocen-to, l'oleografia, procedimento a stampa cromolitografico.

Con questa strumentazione ha indagato la parte più antica di Scandiano, andando preferibilmente alla ricerca di scorci significativi ed emblematici.

Una ricerca durata un lungo periodo per cui le sue rappresentazioni hanno pure valore di testimonian-za, rappresentando anche quelle parti che in un riassetto e riordino notevole ma purtroppo frettoloso, han sacrificato elementi importanti del paesaggio urbano, come l'alberata in Piazza della Libertà, che lui invece, ha riprodotto così com'era un tempo.

Piazza Fiume (ex Padella) è stata dipinta col "Cavaliere Innamorato" scultura in ferro del surrealista Ugo Sterpini, Dotti aveva assistito nel 1977, al suo allestimento affinchè fosse pronta per la Fiera di San Giuseppe.

Sterpini arroventava in piazza con una fucina, le incurvava a furia di martellate e le univa insieme con un saldatore.

Il monumento equestre color ruggine ben si accordava con l'ambiente ed esprimeva efficacemente quella follia che accompagna solitamente gli innamorati, non soltanto ai tempi del Boiardo e dell'Ariosto. Ora è rimasto solo il piedistallo, mentre cavallo e cavaliere sono misteriosamente scomparsi.

Che siano andati con Astolfo sulla luna?

 

19-2-2005

 

 

..Che siano andati con Astolfo sulla luna?

 
   

 

Nel ventre di Scandiano  

di Alfredo Gianolio

 

In un tempo in cui prevale, in arte e in letteratura, la tendenza a rappresentare stati di angoscia, situazioni ambigue ed indefinite dalle più disparate possibilità interpretative, Carlo Dotti ha scelto con decisione la strada solare dell'identificazione netta della realtà da rappresentare.

Non può dirsi nemmeno che sia un isolato e un solitario in questa opzione. Anche gl'iperealisti perseguono lo scopo di recuperare una realtà che abbia valore assoluto, facendo coincidere l'immagine rappresentata con l'oggetto.

Per ottenere risultati appaganti Dotti ha riesumato una vecchia tecnica assai diffusa nella seconda metà dell'Ottocen-to, l'oleografia, procedimento a stampa cromolitografico.

Con questa strumentazione ha indagato la parte più antica di Scandiano, andando preferibilmente alla ricerca di scorci significativi ed emblematici.

Una ricerca durata un lungo periodo per cui le sue rappresentazioni hanno pure valore di testimonian-za, rappresentando anche quelle parti che in un riassetto e riordino notevole ma purtroppo frettoloso, han sacrificato elementi importanti del paesaggio urbano, come l'alberata in Piazza della Libertà, che lui invece, ha riprodotto così com'era un tempo.

Piazza Fiume (ex Padella) è stata dipinta col "Cavaliere Innamorato" scultura in ferro del surrealista Ugo Sterpini, Dotti aveva assistito nel 1977, al suo allestimento affinchè fosse pronta per la Fiera di San Giuseppe.

Sterpini arroventava in piazza con una fucina, le incurvava a furia di martellate e le univa insieme con un saldatore.

Il monumento equestre color ruggine ben si accordava con l'ambiente ed esprimeva efficacemente quella follia che accompagna solitamente gli innamorati, non soltanto ai tempi del Boiardo e dell'Ariosto. Ora è rimasto solo il piedistallo, mentre cavallo e cavaliere sono misteriosamente scomparsi.

Che siano andati con Astolfo sulla luna?

 

19-2-2005

CARLO DOTTI – IPERCROMATICO

 

Carlo Dotti è artista di colore. Di colore e di luce, entrambi vividi, colti nelle diverse ore del giorno ma sempre comunque vivaci:  non ci sono ombre se non quelle degli alberi in un pomeriggio assolato, quando le piante frusciano mosse dal vento e la campagna risuona eco del mare vicino (Casa Righetto de Scaino, Scossicci, 2001), oppure ombre lunghe e serene come quelle di un tramonto molto intenso, quasi sonoro con la Basilica di Loreto lì in cima a fare da contraltare al sole (Loreto con alluvione, Viale Cristoforo colombo, Scossicci, 2011); non ci sono notturni, e questo ci fa immediatamente comprendere quanto a Carlo interessino le variazioni di luce e la maniera in cui questa influisce sulle cose e ne modifica e intensifica i colori.

L’incidenza delle luce sulle superfici, sugli intonaci delle case dei pescatori (Case dei pescatori, Lungomare Nord, Castennou, 2010), sull’acqua delle fontane o del mare (Fontana e chiesa, Piazza Caradori, Sammarì, 2011; Tramonto, Lungomare Lepanto, Centro, 2012), soprattutto del mare;  il modo in cui investe le campagne, i casolari e i centri cittadini, o come muove e tinge le nuvole, sono maniere che hanno radici profonde nella storia dell’arte, a partire dal classico luminismo italiano per fissarsi nell’immaginario comune col fenomeno macchiaiolo, impressionista e divisionista. Ed è piuttosto evidente in Carlo Dotti l’allinearsi a questo ductus, il suo interesse per l’elemento cromatico-luminoso e per la percezione, temporanea e fuggitiva, del momento, che è colto in termini emozionali e quindi variato nei colori rispetto alla realtà, spesso anche presentato per scomposizioni del colore, col verificarsi di quell’effetto ottico che li ricompone a distanza, e li rende vibranti, tremuli sulle grandi tele; le sue opere, le sue impressioni, le trovo quasi ipercromatiche, “perché se non c’è il colore non mi emoziono”, mi ha etto Carlo parlandomi di questi suoi lavori degli ultimi tre anni, bozzetti di vita locale che arrivano e colpiscono in maniera molto diretta.

Il soggetto quasi esclusivo di Carlo è il paesaggio, cercato e trovato spesso an plein air – cioè ritratto dal vero, all’aria aperta, finendo per cogliere anche vento, profumi, salsedine e rumori sulla tela, come se il senso della vista richiamasse anche la memoria degli altri quattro –,  il paesaggio che però ultimamente si popola della figura: i pescatori che armeggiano con le barche o con le reti, i giovani sulle spiagge o i turisti in città (Pescatori, Lungomare Nord, Castennou, 2011; Via del sole, Lungomare Nord, Scossicci, 2011) lavorando anche sulla base di fotografie che gli permettono di non perdere quell’attimo scintillante di luce e densissimo di dettagli che altrimenti sfocherebbero nella rievocazione del ricordo.

Questi paesaggi, queste figure e non ultime le invitanti nature morte (Fritto di paranza, Ristorante Acropoli, 2011), stanno ad identificare e celebrare i nostri paesaggi, le figure presenti anche qui stasera, le nostre campagne, il nostro mare verdeazzurro, i nostri piatti tipici, serviti al ristorante che frequentiamo da tutta la vita, io in primis, quindi dipinti e guardati con lo stesso medesimo affetto e moto dell’animo.

Perciò è un ritratto sfaccettato di Porto Recanati quello che vediamo esposto, dal Mercato delle Erbe alla vista sul Santuario di Loreto, dal Lungomare al Monte Conero, con una grande tecnica pittorica da parte di Carlo Dotti e con evidente portata emotiva.

 

11-9-2012

 
..Che siano andati con Astolfo sulla luna?

 

 

 

...quando le piante frusciano mosse dal vento...